lunedì 23 gennaio 2017

KI NO BI Kyoto Dry Gin (& tonic)


Parliamo di qualcosa di diverso, molto diverso. Parliamo di un gin giapponese. Questo distillato aromatizzato è probabilmente la bevanda alcolica che ha conosciuto il maggior revival negli ultimi anni, e che forse più ha saputo sfruttare quei meccanismi pubblicitari sottili che la rete internet permette. Sono (ri)nate quindi diverse distillerie e nuove etichette, e, se non altro, tutta questa attenzione ha portato con sé anche nuovi prodotti e maggiore qualità. Tra l'altro non nei confronti del solo gin, ma anche verso tutto ciò che gli gira intorno: mi riferisco ovviamente al maggior prodotto ad esso legato, l'acqua tonica. E in Giappone? Se in Europa ormai servire un gin tonic a base di Beefeater e Schweppes farebbe crollare la reputazione di un qualsiasi bar che si rispetti, in Giappone non siamo a questi livelli hipsterici. Forse è ancora presto, forse la moda non prenderà mai piede, in ogni caso non aspettatevi di trovare la bottiglietta di Fever-Tree sotto ogni bancone.
E' successo però qualcosa anche qui, perché un gin giapponese è nato proprio in una distilleria di Kyoto. Si chiama KI NO BI Kyoto Dry Gin ed è prodotto dalla Kyoto Distillery. Si tratta di un progetto nato pochi anni fa, e non a caso dall'idea di un non giapponese. Potete trovare tutte le informazioni su questo gin sul sito ufficiale in lingua inglese. Collegandomi a ciò che ho scritto più sopra, credo che il target sia principalmente il mercato estero. Visto l'esotismo e la rarità del prodotto, i cultori impazziranno, dato che alla vista farebbe sembrare un Monkey 47 roba da supermercato coop! Viene prodotto in piccole quantità e non è facile trovarlo nemmeno in Giappone. (Che io sappia è l'unico gin giapponese sul mercato. So che esiste un altro gin, mai provato, chiamato Kokoro con essenze giapponesi, ma non è fatto in Giappone.) Bene, ma com'è in effetti questo gin?
Sul sito ufficiale potete trovare la dettagliata spiegazione anche del metodo produttivo e dei botanicals. Su questi ultimi vorrei solo soffermarmi su alcuni, molto particolari e che denotano il gusto finale: lo yuzu, lo hinoki e il sansho. Lo yuzu, abbastanza conosciuto, è un agrume simile all'aspetto al limone; non se ne utilizza il succo, ma solo la scorza, estremamente profumata. Lo hinoki è un albero della famiglia dei cipressi, dal legno pregiato e profumato, usato per esempio per costruire lussuose vasche da bagno. Per ultimo il sansho, meglio conosciuto come pepe del Sichuan, molto usato nella cucina giapponese, e il cui profumo, se fresco e di ottima qualità, può addirittura avvicinarsi a quello del frutto della passione. La base alcolica è un distillato di riso.
Aspettavo di trovarmi di fronte ad un gin prepotentemente speziato e ruffiano, invece non è così. Oltre ovviamente al ginepro (l'unica essenza non made in Japan), l'aroma dello yuzu è il tema portante delle note olfattive, sicuramente. Poi però entrano in scena il legno di cipresso e infine la nota erbacea del sansho che ci accompagna a lungo con la sua freschezza. In bocca è decisamente secco. Secondo me un grande prodotto, la cui ardua ricerca appagherà i veri appassionati. Di ritorno dal Giappone, da mettere sicuramente in valigia assieme ai più classici whisky.

季の美 京都ドライジン
Alcol: 45%
Prezzo: circa 5000 Yen + tax (700 ml)
www.kyotodistillery.jp


Attenzione perché non è finita qui, mica ce lo beviamo liscio! Qui abbiamo voluto veramente strafare, andare oltre, quindi abbiamo lasciato perdere la solita tonica e l'abbiamo miscelato all'acqua tonica della N.E.O, azienda di Saga, specializzata in bevande analcoliche di qualità. E' una tonica infusa con il succo di shikuasa, l'agrume tipico di Okinawa. Moderatamente dolce, adatta a questo gin molto secco.

N.E.O Professional Premium Tonic Water
Prezzo: circa 200 Yen + tax (200 ml)
www.neo-premium.com

giovedì 24 novembre 2016

L'azienda: Suginoya


Nel Kyushu settentrionale, ad ovest della città di Fukuoka, si estende l'area di Itoshima. Si tratta di una penisola piuttosto vasta, che negli ultimi anni ha accresciuto la propria notorietà soprattutto per via della sua produzione agricola. Originariamente Itoshima era un po' "l'orto di Fukuoka", ma oggigiorno la fama dei suoi prodotti agroalimentari, ormai un vero e proprio brand, arriva fino a Tokyo. Oltre al riso, si producono orzo, ortaggi, frutta e anche carni pregiate di manzo, prontamente denominate Itoshimagyu. Al di là dell'aspetto produttivo, Itoshima è un'area famosa anche per il turismo: rilassanti paesaggi rurali all'interno e alcune tra le più belle spiagge del Giappone. All'interno di questo contesto sorge l'azienda protagonista di questo post: Suginoya (ricordo che la pronuncia della "g" è sempre dura nel giapponese, quindi si legge "sughinoya"). Il marchio Suginoya appartiene all'azienda Hamachi Shuzo, fondata nel 1870, sebbene a Itoshima la tradizione di produrre sake risale a tempi ancora più antichi. L'azienda sorge quasi all'ingresso dell'areale di Itoshima, ancora all'interno dei confini del comune di Fukuoka. Il posto è un vero piacere da visitare. L'azienda presenta infatti un punto vendita all'interno dell'edificio storico in legno, è possibile inoltre visitare parte degli antichi locali per le fermentazioni (i moderni impianti sono in un capannone adiacente), ed infine è presente una zona ristoro dove è possibile acquistare o mangiare sul posto pane e altri prodotti alimentari. Spesso si tengono anche degli eventi in cui si possono gustare piatti caldi e prodotti locali, come le famose ostriche. Insomma, Suginoya è diventata una meta per molti tour enogastronomici, li definiremmo in Italia. Oltre al sake, Suginoya produce anche birre, e questo è un aspetto tutt'altro che secondario, per almeno un paio di motivi: primo, in Giappone il fenomeno delle birre artigianali o locali (jibiiru) è andato ormai ben oltre la moda, ed è una realtà consolidata con cui anche i grandi marchi storici devono confrontarsi; secondo, Suginoya fa delle ottime birre!
Le birre Suginoya sono dei prodotti di nicchia e anche a Fukuoka si trovano solo nelle enoteche e nei negozi di prodotti locali, in altre città del Giappone la ricerca sarà ancora più ardua (si possono comunque acquistare via internet, sul sito aziendale). Attualmente in produzione ci sono una amber ale, una pale ale, una stout e una altbier. Invece, chi ha la fortuna di visitare l'azienda potrà comprare anche le esclusive birre crude. Di queste ultime sono sempre in produzione una amber ale, una pale ale e una stout, a cui talvolta si aggiunge qualche piccola batch in edizione limitata. In degustazione oggi proprio l'edizione limitata di questo autunno/inverno, una bock di classica ispirazione tedesca, come del resto un po' tutte le birre Suginoya.

Raizan Bock Bier
Colore foglia di tabacco dai riflessi ambrati, opalescente; schiuma molto fine, un po' scarsa, color bianco cenere. Oltre ai profumi del malto tostato, si sentono liquirizia, caramello, pane, e già qualche nota di latticini. Infatti in bocca è molto morbida e a farla da padrone è l'acido lattico, quasi per niente controbilanciato dal tenore alcolico, e nemmeno dalle bollicine. Si tratta di una birra particolare, piacevole, ma che manca un po' di forza, per considerarsi una bock.

雷山ボックビール
Alcol: 5%
Prezzo: 820 Yen + tax (720 ml)

Wazen Asirai
Si tratta di un namazake, un sake "crudo", ovvero non pastorizzato all'imbottigliamento. Inoltre non è addizionato di alcol (junmai), né di acqua (genshu). Riguardo alla politura dei chicchi, è un ginjo, cioè prodotto con chicchi di riso politi di almeno il 40% del loro peso, o, se preferite, con meno del 60% del chicco rimasto dopo la politura.
All'aspetto è limpido, quasi giallo verdolino, consistente. All'olfatto è abbastanza intenso, poco complesso ma abbastanza fine; si sentono profumi di frutta fresca bianca (melone bianco). In bocca è secco, caldo, morbido. L'umami è quasi assente. E' piacevolmente fresco e sapido. Decisamente meglio al palato questo sake, perché lo spettro olfattivo non è dei più vasti, e nemmeno dei più intriganti. Lo definirei però un sake beverino, perché la sua forza è senza dubbio lì: per quella facilità con cui si continua a cercare il bicchiere. Attenzione ovviamente all'alcol, perché i 17 gradi poi presentano il conto. Lo trovo in definitiva un sake piacevole per pasteggiare, abbinato a piatti non particolarmente importanti.

和膳会釈
ottobre 2016
Alcol: 17%
Varietà: n.d. 100% riso nazionale
Chicco (seimai buai): 55% (50% starter)
Peso del sake (nihonshudo): n.d.
Prezzo: 1830 Yen (720 ml)

www.suginoya.co.jp

domenica 6 novembre 2016

Enoteca Sumiyoshi @Hakata station


Oggi una piccola recensione dedicata ad un sake bar visitato pochi giorni fa, un piccolo angolo per amanti del fermentato di riso (ma non solo) in cui passare del tempo, magari in attesa del proprio treno. Sì, perché il Sumiyoshi Shuhan Hakataekiten (questo il nome completo del bar) si trova proprio all'interno della grande stazione di Hakata, la principale stazione ferroviaria della città di Fukuoka. Questo sake bar è in realtà una costola del Sumiyoshi Shuhan, una storica enoteca che ha la propria sede centrale vicino al sacrario shintoista di Sumiyoshi, poco distante dalla stazione di Hakata. La stazione di Hakata, Hakataeki in giapponese, è anche un enorme centro commerciale, e al piano terra del reparto Hakata Deitos, vicino agli ingressi per la linea Shinkansen si trova il nostro locale. In realtà sarà un poco arduo trovarlo, incastonato com'è fra gli innumerevoli negozi della stazione, sempre affollati di pendolari e turisti. La ricerca sarà però ampiamente ripagata. Il locale è un vero e proprio kakuuchi, così vengono infatti chiamate a Fukuoka le piccole osterie della tradizione, che servono sake e distillati accompagnati da semplici stuzzichini, e dove si beve rigorosamente in piedi. In poco più di una ventina di metri quadrati, il Sumiyoshi Shuhan offre una notevole selezione di sake, shochu (distillati di cereali, patate dolci e altro), vino e qualche birra artigianale, tutto quasi esclusivamente prodotto in Kyushu, in vendita sia in bottiglia, che al bicchiere, da consumare in piedi al bancone, gomito a gomito con i clienti locali.
L'origami dice che siamo stati fortunati: jolly pescati e bevuta gratis!

Per chi avesse l'opportunità di recarvisi, vediamo un poco il "funzionamento" del bar: divertente sì, ma anche molto complesso per il cliente straniero. All'Enoteca Sumiyoshi si ordina con le carte da gioco, intendo le carte da gioco giapponesi hanafuda, che ad occhi inesperti sembreranno dei piccoli cartoncini con un lato decorato con motivi floreali e animali. Il barista serve dieci carte ad ogni cliente, e per ogni ordinazione il cliente deve consegnare un certo numero di carte, come riportato nel menù. Ogni carta vale 300 yen (+ tasse). Per esempio, servono due carte per ogni tazza di sake, tre carte per una mini degustazione di quattro tipi di sake, gli stuzzichini vanno, a seconda del tipo, da una a quattro carte al piatto. Se siete fortunati e tra le vostre dieci carte trovate due carte "jolly", chiamiamole così, avrete una tazza di sake in omaggio. Un origami verrà portato davanti al fortunato cliente, a testimonianza della buona sorte di giornata. Complicato? all'inizio sì, ma lo è anche per l'avventore casuale nipponico. Comunque non disperate, a disposizione c'è un menù in inglese, e soprattutto avrete davanti a voi un personale non solo gentilissimo (e fin qui niente di nuovo, siamo in Giappone…) e preparato, ma anche spontaneo e mai imbalsamato. Oltre ovviamente al buon bere, infatti uno dei punti di forza di questo sake bar è quello di dare accoglienza al vasto pubblico, mantenendo il calore umano che si può trovare in un piccolo locale di quartiere. Quindi chiacchere assicurate a tutti i livelli di tasso alcolico.
Tofu conservato sotto miso

La tradizione vince sulla degustazione moderna, quindi niente calici, si beve negli ochoko, le tazzine di ceramica. Alcuni sake è possibile berli anche in versione calda. Sul bancone, è a disposizione dei clienti dell'acqua minerale. Le bottiglie in vendita sono tutte esposte sugli scaffali, quelle disponibili al bicchiere sono segnalate con una decorazione tradizionale sul collo della bottiglia. Il conto si paga alla fine, per comunicare basterà un po' di gestualità, oppure fate sfoggio di un po' di giapponese: "okaikei onegaishimasu".
Per chi visita Fukuoka o magari si sta recando in una delle tante stazioni termali dell'isola di Kyushu, il Sumiyoshi Shuhan è una tappa da non perdere per gli amanti del sake.


住吉酒販 博多駅
Sumiyoshi Shuhan Hakataekiten
Hakata station, Hakata Deitos 1F
Tel. (+81) 092 4737941
Aperto tutti i giorni dalle 8:00 alle 21:00 (bar fino alle 20:00)

sabato 22 ottobre 2016

Wakatakeya Junmaiginjo "Tani"


Riprendo in mano il blog per una degustazione che già anticipo molto positiva. Spinto forse dalle temperature finalmente fresche, ho acquistato una bottiglia di sake, ma non in un negozio di liquori, bensì presso un negozio specializzato in prodotti biologici, soprattutto della provincia di Kumamoto, che qualche volta ha in frigo delle bottiglie davvero particolari.
Il sake di oggi è prodotto dall'azienda Wakatakeya (wakatake significa letteralmente "bambù giovane") di Tanushimaru, in provincia di Fukuoka. Tanushimaru è una piccola località famosa soprattutto per la sua produzione agricola, soprattutto frutta, in particolare uva da tavola. Tra l'altro, l'azienda di oggi possiede anche una cantina vinicola, i cui risultati, devo essere sincero, non sono degni di nota, purtroppo. Più sotto trovate il link diretto al sito internet aziendale. Ci sono anche alcune pagine in inglese. Il sito non è molto ben organizzato quindi è un po' difficile capire chiaramente la linea produttiva. C'è però una chicca, un sake credo invecchiato prodotto con un'antica ricetta, che appena lo trovo… Si tratta di un'azienda con una lunghissima storia alle spalle, essendo stata fondata nel 1699. La bottiglia in degustazione è il Junmaiginjo "Tani". Ricordo che la dicitura junmai indica che l'alcol presente è solo quello prodotto dalla fermentazione, e ginjo indica che dal chicco di riso viene polito più del 40% del suo peso. Tani è il nome di fantasia dato al sake e significa "ruscello (di montagna)".
Il sake è limpido, dal colore verdolino che ricorda quello di un vino bianco leggero, consistente. Al naso è immediatamente percepibile, direi quasi intenso, i profumi si riveleranno dopo qualche minuto complessi e fini: subito la buccia di banana verde, decisa ma non pungente, poi piano piano dei sentori fruttati più morbidi come la mela fuji, infine delle (lievissime) dolcezze come di pasta lievitata e degli sbuffi di zucchero vanigliato, ma sono davvero minimi. In bocca è secco, poco caldo perché l'acidità di questo sake addomestica il tenore alcolico, morbido; l'umami è quasi assente. Questo è un sake molto fresco e sapido. Anche la persistenza non è male.
Non nascondo che l'ho trovato piacevolissimo, molto fine. Soprattutto mi ha conquistato la sua notevole acidità che lo fa accostare subito ai vini bianchi. Un sake fantastico a tavola, secondo me, capace di contrastare con la sua freschezza lo zucchero presente in molti piatti giapponesi. Oggi però mi sono venuti in mente i ravioli di gamberi (o ancor meglio di calamari) al vapore, di chiara origine cinese, ma consumati molto anche in Giappone con la pronuncia giapponesizzata "shumai" (sui menù dei ristoranti cinesi italiani sono chiamati credo "shaomai").

wakatakeya.com

若竹屋 純米吟醸「渓」
agosto 2016
Alcol: 15%
Varietà: Yamada nishiki 100% coltivato nella provincia di Fukuoka
Chicco (seimai buai): 50%
Peso del sake (nihonshudo): n.d.
Prezzo: 1450 Yen + tax (720 ml)

martedì 14 giugno 2016

Due parole sul vino in Giappone

Filari di chardonnay in provincia di Oita

Finalmente è arrivato il momento di parlare di vino, non di riso, ma d'uva. In Giappone se ne consuma molto, ed è uno dei maggiori mercati mondiali, dove qualsiasi produttore vuole trovare uno sbocco commerciale. In Giappone però se ne produce anche: pochissima quantità, mercato prettamente interno, qualità… un po' così così. Dire che la qualità è scarsa è sicuramente una generalizzazione, e generalizzare non è mai una buona cosa, però bisogna anche guardare in faccia alla realtà e magari capire cosa si può fare per migliorare. Nelle pochissime degustazioni che vengono fatte all'estero di vino giapponese, la classica critica è quella della corposità inesistente: i vini sono spesso decisamente scarichi e pare di bere qualcosa di dilavato. Un'altra critica è quella dell'acidità molto accentuata e alle volte anche poco gradevole. Alla base di questi problemi ci sono dei fattori intrinsechi, cioè non migliorabili, e altri esterni, a cui invece si può porre rimedio. Quello che non si può fare è cambiare il territorio. Il Giappone presenta un clima estremamente umido se comparato a tutte le altre zone viticole mondiali. Limitandoci a un paragone con l'Italia, anche la zona tradizionalmente più vocata alla viticoltura, la provincia di Yamanashi nel Giappone centrale, vede valori di precipitazioni annui superiori alle zone più piovose italiane, Friuli orientale e dintorni. Inoltre la pioggia è concentrata in Giappone nel periodo estivo, in piena fase di sviluppo e maturazione dei grappoli. Un altro elemento sfavorevole è il terreno, che spesso è particolarmente fertile e umido, fantastico per molte coltivazioni, forse meno per fare il vino. Cosa invece si può cambiare in meglio? Secondo molti la mentalità produttiva. Forse un problema per il vino giapponese è che in Giappone si è sempre prodotta uva da tavola, e per di più di altissima qualità. Forse paradossale, ma in molti posti (molti), le cantine sono sorte per smaltire il surplus di uva da tavola, vinificandola. Il risultato di questo tipo di enologia è spesso francamente imbevibile. La tradizionale coltivazione dell'uva, ha poi effetto anche nelle tecniche colturali, per cui pare sia molto arduo convincere i coltivatori (che spesso vendono l'uva anche alle cantine) a modificare gli impianti produttivi. Tradizionalmente le viti vengono coltivate in enormi tendoni con rese che vedono diversi chili d'uva per ceppo. Ovviamente i coltivatori non hanno né la volontà né la convenienza a modificare impianti e rese per renderli più adeguati alla produzione di vino (che è solo un ripiego), visto il prezzo che riescono a spuntare per l'uva da tavola. Anche nel caso di quelle cantine che producono l'uva in proprio, sembra che la tradizione sia spesso ardua da modificare: gli impianti a spalliera sono ancora una novità, così come il concetto di limitare la produzione a favore di una maggiore qualità. Interrogati su queste questioni, molti produttori sostengono che in Giappone le tecniche viticole occidentali non sono applicabili: il tendone serve a contrastare gli effetti dell'umidità, per cui gli impianti a spalliera non vanno bene; più ceppi significano radici più in profondità, dove l'acqua ristagna e le radici marciscono; meno grappoli significano meno uva e quindi meno vino… e chi me lo fa fare?! Sarebbero tutte motivazioni valide, però alla fine quel che conta è il risultato, e quello che ci ritroviamo nel bicchiere dimostra che qualcosa non va.
Un'altra questione riguarda il mercato a cui questo vino si rivolge. Chi compra il vino giapponese forse non ha poi grande interesse a portarsi a casa un prodotto di qualità elevata. O, meglio, molti produttori non hanno la necessità di offrire un prodotto di alta qualità. Cioè, alle volte mi pare si tratti una clientela più attratta dallo omiyage (souvenir) che dal vino in sé: i giapponesi, quando vanno da qualche parte portano a casa tonnellate di souvenir, che sono nella stragrande maggioranza generi alimentari vari, dolci, frutta, sake e… nel nostro caso anche vino. Se vi capita di visitare una cantina vinicola tipo, vi stupite innanzitutto delle dimensioni: parcheggi bus, comitive in visita, cantine aperte, ristorante annesso, salone shopping che vende souvenir d'ogni genere, addirittura cappella per matrimoni! Ad una recente visita in una di queste "cantine" mi è capitato di cercare tra i portachiavi e le scatole di biscotti in vendita, dove fossero esposti i vini aziendali. Insomma, si tratta spesso di aziende che poco hanno a che fare col classico contadino vignaiolo e il suo casolare tra i filari. Di cosa stiamo parlando quindi? di grandi gruppi industriali, magari già nel settore alimentare o delle bevande alcoliche, che decidono di investire parte del loro capitale in una cantina vinicola, che poi sarà poco più di una scusa per creare una sorta di centro commerciale "enogastronomico". Va da sé che poi il vino prodotto, buono o cattivo, venduto o non venduto, abbia poca importanza.
E' questa la situazione dell'enologia in Giappone? Ovviamente no, è molto più complessa e variegata, ci sono anche piccoli produttori che cercano di fare del buon vino, ma quella che ho descritto sopra ne è una parte, e nemmeno troppo piccola. Ci sono segnali che indicano anche come una nuova generazione di viticoltori stia nascendo, e in futuro ci potranno essere grandi vini giapponesi in grado di competere a livello internazionale.

mercoledì 24 febbraio 2016

Dassai 23 Nigori Sparkling


Un breve viaggio in Italia e un raffreddore mi hanno tenuto lontano dal blog, ma riprendo le degustazioni con un una bottiglia davvero speciale. Inutile girarci troppo attorno, stiamo parlando di Dassai, anzi dell'ormai mitico Dassai 23! Sì, perché ormai si tratta di un fenomeno planetario: il nome Dassai è diventato sinonimo di qualità massima tra gli appassionati di sake di tutto il mondo, non solo in Giappone. Ovviamente a chi non beve sake questo nome non dirà nulla, ma è ormai un po' come nominare Gaja (lo so che questi paragoni fanno acqua da tutte le parti, ma è tanto per giocare…), uno di quei nomi forti che fanno subito illuminare il volto di un appassionato, magari all'inizio di un percorso e non ancora colpito da disillusioni. Perché il marchio Dassai ha raggiunto tale traguardo (soprattutto all'estero) è forse un poco complesso da analizzare, anche se al giorno d'oggi può bastare una foto al momento giusto e con le persone giuste per scatenare il successo. Ritornerò sul fenomeno Dassai in un prossimo post, per ora diciamo solo che la azienda produttrice è Asahi Shuzo, con sede a Iwakuni, nella provincia di Yamaguchi, siamo nell'estremo sud dell'isola principale del Giappone.
La bottiglia di oggi è il Dassai 23, ma attenzione, non il suddetto già famoso e ricercato, qui siamo andati addirittura oltre e abbiamo tra le mani la versione spumantizzata. Si tratta di una serie speciale in vendita per la fine dell'anno, credo solo in Giappone. Il numero 23 indica la percentuale rimasta del chicco di riso dopo la politura: siamo a livelli estremi, il massimo grado di politura tra i sake in commercio in Giappone, dichiara il produttore. Ricordo che la versione spumante solitamente in vendita è quella col grado di politura 50. Il Dassai 23 spumante non viene pastorizzato all'imbottigliamento (namazake), per permettere ai lieviti di continuare la loro opera e saturare la bottiglia di anidride carbonica e… creare le bollicine. Questo sake non subisce alcuni processi di filtrazione per cui è anche un nigorizake, un sake torbido, in cui fini particelle di riso e sedimenti sono in sospensione, dando al sake il tipico colore bianco lattiginoso di questa categoria. Solitamente i nigorizake vengono un poco agitati nella bottiglia prima di essere versati, ma in questo caso è meglio evitare visto che si tratta di uno spumante. Il produttore raccomanda quindi molta cautela nell'aprire la bottiglia, asserendo tra l'altro che la pressione supera quella di un classico vino spumante. Queste precauzioni stanno scritte un po' dappertutto e mi hanno messo addirittura ansia, nemmeno fosse una bomba, ma alla fine credo fossero indirizzate al cliente medio giapponese, che, leggendo sull'etichetta "nigorizake", darebbe una energica shakerata alla bottiglia prima di aprirla. Io sinceramente, quasi per nulla aiutato dalla pressione, ho fatto fatica a togliere il tappo di plastica. Stappate la bottiglia che avrete conservato in frigo (è un sake crudo), tappatela con un dito o con quello che volete, capovolgetela a testa in giù due o tre volte per mescolare i sedimenti, servite.
Il sake è ovviamente velato, bianco lattiginoso, le bollicine sono fini, abbastanza numerose e abbastanza persistenti. I profumi sono abbastanza intensi e abbastanza complessi volendo essere generosi: banana verde su tutti, poi qualche nota di agrumi, le dolcezze tipiche dell'umami che poi ritroveremo in bocca, non mi pare altro. Al naso è comunque abbastanza fine. In bocca è sì secco, ma attenzione che i sedimenti riempiono la bocca di tanto "materiale" da rendere l'umami potente (e coprente) al punto da avvertire ben più di una sensazione dolce. L'alcol non si fa sentire, finanche pastoso. Le bollicine riescono in parte a bilanciare questa pastosità con il loro effetto pulente. Il sake è comunque fresco, sebbene forse poco sapido. La lunga persistenza è quella dolciastra dei sedimenti, tipica dei nigorizake, che non a tutti piacerà.
In conclusione, si tratta di una bottiglia estremamente particolare, vuoi per il blasone, la ricercatezza, e la tipologia. Mi è piaciuto? Ni. Io credo sia meglio abbinarlo a un dolce: qualche pezzo di piccola pasticceria giapponese.

Nota: non ho indicato il prezzo perché la bottiglia mi è stata regalata. Girando su internet si trovano ancora bottiglie in vendita (ricordo che è una edizione limitata per il periodo delle festività invernali e che non ha una lunga vita, essendo un sake crudo): il prezzo ufficiale era 6000 yen + tasse, ma ora si arriva anche sui 10000 yen, follia.

www.asahishuzo.ne.jp

獺祭23 発泡にごり酒
Novembre 2015
Alcol: 14%
Varietà: n.d. riso nazionale 100%
Chicco (seimai buai): 23%
Prezzo: n.d.

giovedì 28 gennaio 2016

Junmai ginjo namazake - Fuyu no tsuki


In questi giorni freddi d'inverno, nei negozi di sakè sono in vendita molti sake freschi, o crudi, o… in giapponese, namazake. I cosiddetti namazake, sono quei sake che non vengono pastorizzati all'imbottigliamento (subiscono però dei processi di microfiltrazione, e vengono comunque sterilizzati una volta dopo la pressatura). Sono sake da consumare a breve, pochissimi mesi o pochissime settimane, a seconda dell'esperto a cui lo si chiede. Generalmente si dice che abbiano la tendenza ad avere un gusto "spigoloso", che pizzica il cavo orale. Ed è appunto quello che mi ha detto la rivenditrice del piccolo negozio di alcolici in cui sono stato, che mi ha consigliato di provare questo namazake. Secondo la signora, pur essendo un sake crudo, questo non è comunque particolarmente "piccante".
Qualche volta ci si lascia abbindolare dall'etichetta? Siamo sinceri, direi di sì, i grafici spesso il compenso se lo guadagnano. E' proprio il caso di questo sake, Fuyu no tsuki, letteralmente "luna d'inverno", un sake prodotto dall'azienda Kamikokoro di Asakuchi in provincia di Okayama. Bellissima etichetta a parte, si tratta di un sake che viene messo in vendita per il nuovo anno e che pare abbia un certo buon numero di estimatori, il che, aggiunto al quantitativo limitato, e al ristretto periodo di presenza in commercio, lo rende un sake piuttosto raro e ricercato. L'etichetta di Fuyu no tsuki ci dice inoltre che si tratta di un sake junmai (senza alcol addizionato), ginjo (dal chicco di riso viene polito almeno il 40% del suo peso), e muroka (non filtrato con carboni attivi).
Cristallino, bianco perlaceo con una lievissima tendenza al verdolino, consistente. Lo definirei abbastanza intenso e abbastanza complesso: ci sono frutti bianchi, banana verde, e qualche sentore dolce già al naso. Abbastanza fine. Il sake è secco, caldo, morbido, ha una buona acidità e sapidità. La persistenza è più che altro quella dell'umami. Il tutto è abbastanza armonico. Un sake che non presenta certo note negative, ma nemmeno ha particolari picchi di eccellenza a mio parere. Comunque da provare, ovviamente.
Viste le temperature eccezionalmente gelide anche nel Giappone meridionale, più che un abbinamento consigliato, direi un abbinamento necessario, seppur ottimo: con un piatto fumante di oden (il bollito misto giapponese, lo chiamo io), per scaldarci in queste notti d'inverno.

Una curiosità: i ben informati mi fanno sapere che esiste anche la versione Mangetsu, "luna piena". Si tratta dello stesso sake, ma con una etichetta speciale sulla quale è raffigurato appunto il cerchio completo della luna. Si tratta di poche bottiglie (una vera e propria limited edition) inserite casualmente all'interno dei cartoni di Fuyu no tsuki, che diventano ambitissime dagli appassionati. Buona ricerca.

www.kamikokoro.co.jp

純米吟醸生酒 冬の月
Dicembre 2015
Alcol: 16-17%
Varietà: n.d. riso nazionale 100%
Chicco (seimai buai): 58%
Prezzo: intorno ai 1500 Yen